L'uccellino azzurro della felicità by Civi Gì

L'uccellino azzurro della felicità by Civi Gì

autore:Civi Gì [Civi Gì]
La lingua: eng
Format: epub
editore: SBF Narcissus
pubblicato: 2016-04-25T16:00:00+00:00


I CONIGLI

La zia Maria, irruenta donna senza età e le lentiggini ovunque, allevava nello spazio compreso tra la roccia a strapiombo e la casetta bianca, che già fu di mia nonna, i conigli.

Il tavolo di graniglia, sotto la pergola con la vite americana e l’uva fragola, murato a terra come le panche di cemento, mi accoglieva spesso, in un quotidiano contatto tra la pietra artificiale sempre fresca, la casa bassa ad un piano e quel retro che sembrava rosicchiato nella roccia che ancora e sempre gli incombeva minacciosa.

La zia Maria era un folletto con i capelli rossi e ricci, sempre raccolti con difficoltà, sempre vivi, sempre serpeggianti come i suoi occhi, tanto luminosi e tanto vispi, da non capire di che colore fossero. Erano chiari, di una velocità fulminea e distraevano il mio sguardo da ogni altro particolare, tanto che non so d’averla mai guardata attentamente di fronte, sempre alle spalle, sempre di fianco, mentre lavorava, camminava o parlava con qualcuno.

Piccola di statura, gioviale, scattante, con delle belle gambette tornite che non tradivano né stanchezza né dolori, sembrava una buffa fata scappata da un libro di favole antiche.

Io la zia Maria la vedevo talmente irreale, irrazionale, naturale e spontanea da non sembrarmi vera.

Era una donna molto intelligente ma mortalmente offesa dalla vita; una persona splendida sprecata a fare la sguattera e costretta al continuo, disumano lavoro di inibire le sue potenzialità.

Mio padre raccontava spesso con orgoglio che quando era bambina andava a scuola molto volentieri ed era molto brava. Tanto brava da suscitare complimenti alla famiglia da parte del distretto scolastico, lodi alle quali suo padre, mio nonno, rispondeva bruciandogli i libri affinché non si distraesse dalle faccende casalinghe alle quali era destinata e “lasciasse perdere quelle storie di libri che non servono neppure ai maschi figuriamoci ad una femmina”.

Erano gli anni bui del fascismo che intontiva la mente di chi si lasciava irretire e massacrava le ossa a chi si manteneva lucido. Erano gli anni durante i quali il disfacimento si imponeva come costruttivo, seminando qua e là sporadici specchietti per le allodole, primo fra tutti quello dell’istruzione per tutti.

Il Duce istituì la gita premio a Roma per tutti gli scolari particolarmente meritevoli; la scuola del quartiere scelse tra i tanti proprio la zia Maria che studiava di nascosto su brandelli di libro bruciato, che rubava caramelle di sapere mentre gli altri erano intenti soltanto a rapinare la madia del pane.

Mio nonno si oppose. “Lei non va da nessuna parte, resta qui a fare quello che deve per aiutare sua madre!” La maestra se ne partì dalla scuola e lo andò a cercare a casa, forte del suo ruolo autoritario ma, immagino, intimorita dal fatto di dover affrontare tanta ignoranza vestita da uomo. Ma ce la fece e la piccola Maria che frequentava le elementari consumò quello che sarebbe rimasto l’unico viaggio della sua vita.

Tornando a casa la carrozza ritornò ad essere una zucca e lo rimase per sempre.



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